Bełchatów – La più grande miniera della Polonia, torna ad essere al centro dell’attenzione. Almeno del mondo della produzione di energia.
Localizzata a circa 150km ad ovest di Varsavia, è il sito di maggior riserva di carbone della Polonia. Ed in questo periodo di sconvolgimenti socio-economico-politici in cui la produzione di energia è diventata fondamentale e strategica per ogni Paese, Bełchatów riprende un posto di importanza, appunto, strategica.
In effetti, secondo quanto riportato, i ricavi del settore minerario sono arrivati a pln 38mld (oltre 8mld €), superando di molto lo stesso ricavo per lo stesso periodo del 2021 che fu di “appena” pln 20mld.
E, secondo i dati citati da Rzeczpospolita, la ARP – Agenzia per lo Sviluppo Industriale – stima che gli investimenti nel settore del carbone sono stati – da gennaio a settembre – pln 1.78mld contro i pln 1.49 dello stesso periodo dello scorso anno.

Carbone si, ma la produzione non aumenta
Fatto sta che pur con questo aumento dei fondi di investimento, la produzione non pare essere particolarmente dinamica.
Il problema è, da un lato, in un depotenziamento del settore negli anni scorsi dato dalle politiche di ‘transizione verde’ che hanno tenuto banco; e dall’altro dal fatto che, proprio per questo, non si sono fatti investimenti.
Prima della crisi russo-ucraina e delle limitazioni all’import energetico dalla Russia, la stessa Polonia importava, sui 12 mln di ton complessive, circa 8mln di tonnellata proprio dalla Russia, il cui carbone è ritenuto di miglior qualità e certamente era meno costoso. Quindi il 65% circa era carbone di importazione.
Oggi il rapporto. Ma rimane un ampio spettro di import. Il Governo ha infatti dato mandato di “semplicemente” trovare font alternative di import, affidandosi a Paesi come Indonesia, Colombia, Africa. Ma pur sempre facendo appunto affidamento sulla produzione elettrica via carbone.
A fine 2020, il Governo polacco aveva stabilito un su percorso per la fuoriuscita dal ‘vincolo del carbone’ per la propria transizione green.
L’idea era di dismettere tale fonte di produzione dal 2045, con un percorso graduale di uscita. Progetto che aveva concordato con i sindacati minerari, ovviamente coinvolti per l’impatto occupazione che tale progetto poteva avere.
Impatto anche sulla salute
Ovviamente, la “questione carbone” è largamente impattante sull’eco-sistema polacco. Se l’energia è fondamentale per il mantenimento socio-economico di un Paese, diverse prove indicato come il carbone sia fonte di inquinamento.
L’organizzazione Greepeace in un proprio report (qui) ha studiato dal suo punto di vista la “questione”. Il report, visti gli accadimenti dovuti alla guerra, può forse indicarsi come datato, pur se ha indicato degli scenari ad oggi ancora attivi.
Ciò che metteva in evidenza era però la mancanza di una strategia ‘coal-exit’ del governo polacco alla data del 2020. Con una serie di rimandi per l’uscita dal carbone prima al 2030, poi al 2040. Fino poi ad indicare che il carbone, comunque, sarebbe rimasto nel ‘mix’ di produzione di energia elettrica almeno fino al 2060.

Sussidi e cambiamenti
Ora le cose sono state forzatamente orientate verso altre direzioni.
Il conflitto russo-ucraino ha messo in evidenza, ancora più, che la dipendenza dalle fonti energetiche di terzi, è pericolosa.
Questo non depone a favore di un percorso più veloce, per la Polonia, nel dismettere l’uso del carbone. Secondo dati riportati dalle varie agenzie energetiche, la Polonia produce più energia dal carbone che il resto dei 25 Paesi della EU messi assieme.
D’altra parte, circa 4 milioni di polacchi fanno affidamento sul carbone per le proprie necessità energetiche, a partire dal riscaldamento.
Basta ricordare il resoconto anche di Reuters di come nell’agosto del 2022, con il “panico” creatosi per il rischio di mancanza dello stesso carbone, ci furono file chilometriche e attese di giorni, per far rifornimento di carbone presso la centrale produttiva di Bogdanka, una miniera di Stato.
Ed anche proprio la statalizzazione del settore, è un altro problema. Nel senso che ad oggi il settore è fortemente sostenuto dai sussidi statali. Cosa che, tecnicamente, lo mette fuori dalla convenienza economica di mercato.
Un report di ClientEarth (qui) indica la costante predita di denaro delle aziende statali nella produzione di carbone. La agenzia NABE, la Agenzia Statale per la Sicurezza Energetica e che è subentrata per razionalizzare statalmente il sistema, è stata indicata perdere pln 31.1mld nel periodo di suo operatività come sussidi statali rilasciati.
Problema complesso
Insomma, la ristrutturazione del sistema di produzione dell’energia, in Polonia, risulta complesso perchè ha delle fonti di produzione energetica sufficienti ma oggi non ritenute più in linea con gli orientamenti generali: parliamo ovviamente del carbone.
Così mentre ci sono Nazioni che hanno sempre problemi di produzione di energia (es l’Italia, ma perchè non ha fonti proprie), la Polonia si trova a capire che strada fare per “abbandonare” il carbone, che l’ha aiutata nella sua “carriera di sviluppo”.
Ha un consistente numero di impiegati nel settore, benchè in declino da tempo; ha un sistema sociale legato al carbone; ha ampi strati della popolazione che fanno riferimento al carbone per i propri bisogni.

D’altra parte, i costi per la gestione di questa industria, aumentano. Non solo quelli diretti, ma anche quelli burocratici, con la Unione Europea che impone compensazioni economiche con diritti di prelievo per l’uso del carbone.
Senza contare che la stessa EU ha programmato un proprio percorso green che non può vedere fuori la Polonia. Anche per i finanziamenti che, come al solito, la EU mette sul tavolo per avere scambio con il proprio potere di gestione.
La transizione, come si chiama, è però iniziata. Si parla di fonti alternative, come il nucleare di nuova generazione. E si parla di chiusure di impianti inquinanti, come nella tabella a seguire.

Ciò che sarà, però, dipende molto da come si risolve la crisi russo-ucraina e lo smantellamento del sistema di interconnessione economico e commerciale mondiale che rischia di far recedere in una autarchia di Continenti con una politica di area, parziale, ed inutile al cambio serio delle prospettive del Pianeta, se il famoso ‘riscaldamento globale” è effettivamente un problema.
In alcune città della Slesia, dove sono alcuni dei maggiori impianti carbone-dipendenti, non è difficile trovare cittadini che guardano al cielo grigio e dicono: “Qui c’è sempre puzza, un’aria davvero pesante“.