ABSTRACT
BRUXELLES/WARSZAWA – Uno stop totale ed una lettera di ‘avvertimento’ è stata inviata dal Ministro polacco del Clima ed Ambiente, signora Anna Moskwa, alla Commissione Europea, il braccio operativo delle politiche europeiste attuali.
Nella lettera si fa chiaramente presente che non sarà accettato nessuno schema politico-ambientalista che tenderà a far aumentare il costo del riscaldamento delle case e delle attività.
Questo perchè la Commissione vuole allargare lo “Emissions Trading Scheme”, ovvero il costo per la produzione di energia con tecnologia inquinante.
Politiche e soldi per il riscaldamento. Ma poi?
Secondo tale schema mentale, la riduzione dell’inquinamento e delle emissioni che si vuole portare in EU al 55% prima della fine del decennio, dovrebbe passare per un aumento dei prezzi legati all’uso di fonti energetiche ritenute inquinanti. Quindi il carbone.
Una cosa ritenuta inaccettabile dal governo polacco che ha avvisato la signora Von der Leyen che “una casa calda per l’inverno non è una merce di scambio, ma un diritto dei cittadini“.
Il ministro Moskwa ha fatto ovviamente notale che nell’attuale fase di crisi della produzione energetica dovuta alla guerra russo-ucraina, un aumento dei costi di riscaldamento potrebbe portare ad una “povertà energetica“.
Il parlamento europeo cerca una mediazione. con i soldi
Il rapporto tra la parte Ovest d’Europa e la parte Est torna quindi a scontrarsi su un approccio molto ‘occidentale’ che spesso dimentica che la Unione Europea non è un territorio uniforme, sotto tutti i punti di vista.
Secondo Euractiv.com, rispetto tali posizione della Polonia, il Parlamento Europeo starebbe cercando una posizione di mediazione.
Peter Liese, un tedesco della formazione CDU e “capo-negoziatore” per il Parlamento Europeo ha indicato che la discussione sarà complessa.
La proposta avanzata in sede europea potrebbe mettere a disposizione dei Paesi in via di transizione energetica come la Polonia, un “fondo per il cambiamento del clima” per mantenere un prezzo stabile verso le famiglie, almeno nel primo periodo.
E poi, la stessa Unione Europea potrebbe prevedere una sorta di “freno di emergenza” da attivare al bisogno.
La critica del governo polacco è che l’idea del ‘freno di emergenza’ sarebbe come mettere i cittadini europei dentro una macchina senza freni. E poi dire: “Non vi preoccupate, in caso di emergenza, l’Unione europea vi frena“.
Un nuovo ricatto finanziario?
Ma c’è anche un’altra critica che si può immediatamente fare ed è alle “proposte trabocchetto” della UE.
Perchè parlare di soldi da attivare e conferire ai Paesi in determinate fasi, significherebbe da un lato aumentare il livello di prelievo in favore della UE. E la burocrazia europeista ambisce follemente a gestire le risorse pubbliche in modo da avere una gestione sempre più esclusiva (avere un esercito europeo ed una tassazione diretta, è il sogno degli europeisti di Bruxelles, credendo già di disporre del ‘territorio’).
Ma non solo. Ci sarebbe poi il serio rischio del ‘ricatto‘ legato ai fondi da conferire. Il modus sarebbe: “O fai quello che ti dico, o non ti do i soldi“.
Cosa che da Bruxelles si fa senza ritegno. Ci provarono con l’Ungheria al tempo della crisi degli immigranti; lo stesso fecero con la Polonia minacciando sui soldi in caso di non ricollocazione delle migliaia di immigrati in Europa.
E dalle minacce sono adesso passati ai fatti impedendo il rilascio dei fondi del “Recovery Plan” polacco (oltre 34mld €) se la Polonia non farà come ha deciso Bruxelles sul tema del “Rule of Law“.
Marcia verso la fine della dipendenza dal carbone
In effetti, la dipendenza dal carbone come fonte di produzione di energia, diventa sempre meno centrale nella dinamica polacca.
Già nel 2017 lo aveva affermato il primo ministro Morawiecki (allora vice primo ministro e come riportato da Energetyca24) secondo cui negli ultimi 15 anni la Polonia aveva ridotto la dipendenza dal carbone del 15%. Nello stesso periodo, la Germania lo aveva fatto solo dell’8%.
Anche dei report indipendenti indicato la Polonia sul percorso di allontanamento dal carbone.
Uno studio di McKinsey (qui) del 2020, quindi in un periodo ancora poco impattato dalla paranoia covid e lontano dalla guerra in Europa, indica che il raggiungimento di “emissioni zero CO2” è un obiettivo raggiungibile dalla Polonia, facendo gli opportuni aggiustamenti.
Secondo quello studio, la Polonia nel 2017 ha rilasciato “380 tonnellate cubiche di “carbon-dioxide equivalent (MtCO2e)” piazzandosi al terzo posto tra le nazioni europee più inquinanti.
D’altra parte, il 77% della produzione di energia elettrica proviene dall’utilizzo di carbone. E quindi è la produzione di energia che deve essere messa sotto analisi.
Lo studio McKinsey individua i settore che dovrebbero orientarsi verso una produzione energetica green, anche perchè l’aumento del GDP, della ‘ricchezza’ della Nazione può portare un aumento di domanda di energia che in qualche modo deve essere soddisfatta.